“Siamo tutti imprenditori. Quando vivevamo nelle caverne lavoravamo
tutti in proprio… trovando il cibo, nutrendoci. La storia del genere umano iniziò da qui. A mano a mano che la civiltà si è sviluppata, abbiamo soppresso quell’istinto. Ci siamo trasformati in «manodopera» perché ci hanno etichettato in quel modo: «Siete manodopera». Abbiamo dimenticato che siamo imprenditori.”
Il brano iniziale è una riflessione di Muhammad Yunus, premio Nobel e pioniere della microfinanza, ed è l’inizio del libro di un altro grande pensatore dei nostri tempi. È l’inizio di “Teniamoci in contatto” di Reid Hoffman, per intenderci il fondatore di LinkedIn.
È un libro che, ai tempi, ho letto con grande curiosità ed apprezzato moltissimo. È il motivo per cui mi sono dato tanto da fare per comunicare on line, il motivo per cui dedico almeno due ore al giorno in brevi consulenze gratuite che mi piace chiamare chiacchierate; e tanto altro.
Tra i concetti fondamentali c’è la centralità e l’importanza delle relazioni, anche questo un concetto senza tempo e dal valore inestimabile…ma non vorrei parlarti di questo, sono sicuro che lo sai e sei d’accordo.
Rileggendo questo libro ho fatto un pensiero diverso. Mi sono soffermato su questo inizio e sul modo in cui Reid in un certo senso sproni ogni uomo a fare impresa e dall’altro lato provi in tutti i modi a scoraggiarlo.
Uno dei passaggi dice più o meno così “Ciò non significa che tu sia venuto al mondo per fondare un’impresa. A dire il vero, i più non dovrebbero farlo. Date le scarsissime probabilità di successo, unite al costante bombardamento emotivo, fondare un’azienda è la strada giusta solo per alcuni.”
Credo sia vero ed è qui che bisogna ragionare.
1) Alcuni non dovrebbero proprio fare impresa
Non ne hanno la stoffa. Non hanno idee che meritano di rischiarci sopra. Oppure hanno entrambe le cose ma non rientrano in quella ristretta cerchia di persone che sanno pagarne il prezzo. Perché un prezzo c’è sempre e c’è nel fare impresa. È un carico emotivo non da poco. Spesso è un’altalena di emozioni, montagne russe, sfide continue che non si fermeranno mai perché se succedesse non ci sarebbe più gusto e non ci sarebbe più impresa.
Non tutti ne sono capaci, o meglio dire portati. Altri sono destinati a grandi cose ma diverse, alcuni non sono fatti per essere imprenditori.
2) Alcuni sono destinati ad essere imprenditori ma non dovrebbero farlo
Questa categoria è molto popolosa. Ci sono persone che hanno idee, talento ed anche quell’indole dell’imprenditore, quel saper stare sull’onda e cavalcarla. Non si abbattono, amano la sfida.
Eppure non dovrebbero fare impresa.
Perché?
Perché si accontentano di essere come gli imprenditori delle caverne. Si accontentano di potare a casa solo il cibo per nutrirsi. Non aspirano alla crescita, non aspirano mai alla “grande svolta”. O forse aspirano ma non lo dimostrano.
Si lasciano travolgere dalla crisi, dalle difficoltà, da chi dice che non si può fare, dalle tasse, dal sistema che non lo permette, dalla burocrazia che lo rende troppo complicato…
Si compiacciono di più dell’essere in piedi anziché provare a saltare davvero in alto.
Sono un sacco di imprenditori che fanno impresa in Italia, o in qualche altra parte del mondo, e si chiedono cosa potrebbero fare qui in Svizzera o in America o a Dubai.
Se lo chiedono ma non lo fanno mai davvero. Rimangono accecati dalla soddisfazione di dire “nonostante tutto sto andando avanti…”
3) Poi ci sono quelli che ce l’hanno nel destino
Sono quelli che hanno idee, talento e non si accontentano mai. Vogliono una svolta al giorno. Per loro non è mai abbastanza.
E non parlo di soldi, di cose economiche. Parlo di chi intende l’impresa e la crescita come qualcosa di più importante di un grafico che indica che va tutto bene.
Loro, rispetto agli imprenditori delle caverne, sanno due cose. Due cose in più e più importanti:
- Sanno che non è mai “abbastanza”
- Sanno che se sono in una caverna e non gli piace possono spostarsi.